COMA VEGETATIVO - STATO DI MINIMA COSCIENZA - "MORTE CEREBRALE" CERTEZZE MILLANTATE
COMA VEGETATIVO - STATO DI MINIMA COSCIENZA - "MORTE CEREBRALE" CERTEZZE MILLANTATE
29 settembre 2009
Inserito da: Lorella Binaghi
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LEGA NAZIONALE CONTRO LA PREDAZIONE DI ORGANI E
LA MORTE A CUORE BATTENTE
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COMUNICATO STAMPA
ANNO XXV - n. 12
25 settembre 2009
COMA VEGETATIVO - STATO DI MINIMA COSCIENZA - "MORTE CEREBRALE"
CERTEZZE MILLANTATE
A quanti seguono con attenzione lo sviluppo "nebuloso" della
Sanità istituzionale nel settore degli espianti/trapianti, vogliamo
sottoporre l'articolo dell'Economist, da noi tradotto, che segnala un
lavoro di ricerca sul coma vegetativo pubblicato su BCM Neurology del
21/07/09 ("Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious
state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment"
di Schnakers, Vanhaudenhuyse, Giacino, Ventura, Boly, Majerus, Moonen e
Laureys), tema di particolare attualità nella sua
complessità. L'articolo ci è stato trasmesso dai colleghi
medici inglesi, che lo hanno visto come passo avanti nella critica alle
certezze sul coma e come speranza di sviluppo di critica alla cosiddetta
"morte cerebrale". L'importanza di questo articolo sta principalmente nel
fatto che gli stessi neurologi ammettono che non ci sono certezze e che
sono stati fatti considerevoli errori di diagnosi, quindi è
incomprensibile che si possa sostenere la ?morte cerebrale? a cuore
battente ed imporla, considerato che anche in quella non ci sono
certezze.
Questo studio contrappone fra loro due indirizzi autoritari nei confronti
del paziente, neurologi che rivendicano la loro professionalità e
abilità di giudizio e altri che ne contestano sia le abilità
che l'onestà e propongono protocolli di classificazione standard. A
noi resta il sospetto che, pur in buona fede, si possa profilare un
protocollo autoritario sullo stato vegetativo similare al protocollo
autoritario che impone la "morte cerebrale" e quindi il rischio futuro di
prelievo di organi dei dichiarati in coma vegetativo permanente. Ci sono
delle Consulte di bioetica che hanno già proposto l'equiparazione
dello stato vegetativo permanente alla morte.
Comitato Medico
Prof. Dott. Massimo Bondì
L.D. Pat. Chir e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma
Patologo e Chirurgo generale
Presidente
Nerina Negrello
Buona lettura!
Sulla diagnosi del coma:
Sorte avversa per qualcuno...
23 Luglio 2009 da The Economist edizione stampata
Tradotto da Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a
Cuore Battente
Uno studio recentemente pubblicato sostiene che molte persone a cui è stato diagnosticato uno stato vegetativo, non lo sono
E' una questione di "etichette". Veramente possono fare la differenza tra
la vita e la morte. Una persona in un letto di ospedale con un'etichetta
con la scritta "stato di minima coscienza" sarà sottoposta ai
trattamenti di sostegno alla vita a tempo indeterminato. Se sull'etichetta
è scritto "stato vegetativo" questi trattamenti possono essere
sospesi in qualsiasi momento. Un profano può non capire la
differenza, ma un medico sì. O no? Caroline Schnakers, Steven
Laureys e loro colleghi dell'Università di Liège hanno appena
pubblicato un preoccupante studio sul "BioMed Central Neurology" che
sostiene che forse non è così. Forse un medico non può
capire la differenza o peggio, preferisce usare la sua intuizione piuttosto
che usare le ultime tecniche diagnostiche per affermare la differenza. Di
conseguenza, molte persone potrebbero rischiare la sospensione dei
trattamenti di sostegno alla vita anche quando hanno segnali intermittenti
che la loro coscienza non è del tutto scomparsa. I pazienti in stato
vegetativo sono quelli che non mostrano alcun segno di coscienza e i
tribunali di molte nazioni possono prendere in considerazione le istanze
per l'interruzione dell'alimentazione e idratazione, permettendo loro di
morire (come è successo nel caso molto mediatizzato di Terry
Schiavo, in Florida, qualche anno fa), per poi espiantare i loro organi per
trapianti. I pazienti che mostrano segni di coscienza -quelli che sono in
grado di obbedire ad un comando, per esempio sbattere le palpebre o seguire
con gli occhi un oggetto in movimento- vengono definiti "non vegetativi" e
questa sorte viene loro risparmiata. Ci sono delle prove che questi
pazienti, a differenza dei pazienti in stato vegetativo, possono sentire il
dolore e quindi ci si impegna ad alleviare la loro sofferenza e a
riabilitarli. Tutti sono d'accordo che distinguere tra questi due tipi di
coma non è mai stato facile. Anzi nel 1996 Keith Andrews e i suoi
colleghi del "Royal Hospital for Neurodisability" di Londra hanno trovato
che il 40% dei loro pazienti in stato vegetativo erano stati diagnosticati
erroneamente. All'inizio di questo decennio però i medici hanno
avuto a disposizione due nuove tecniche e ci si aspettava perciò che
le cose migliorassero.
Un battito di ciglia, e puoi scamparla Uno dei metodi innovativi era
una nuova categoria diagnostica - lo stato di minima coscienza. Questo
descrive pazienti che stanno un po' meglio di quelli nello stato
vegetativo, perché mostrano oscillanti segni di coscienza. Ad
esempio, qualche volta, ma non sempre, potrebbero passare il test del
riflesso palpebrale. L'altro nuovo metodo era la "JFK Coma Recovery Scale"
(una scala di recupero dal coma). Questo consiste in oltre 20 test clinici
e si caratterizza nella possibilità per i medici di distinguere non
solo i pazienti in stato vegetativo da quelli in stato di minima coscienza,
ma anche quelli che sono usciti dallo stato di minima coscienza. Questo
metodo è ampiamente accettato in quanto dà una diagnosi
accurata di queste condizioni. Ma lo stanno applicando? Lo studio del team
di Liège, ritiene di no. Hanno confrontato le diagnosi di 103
pazienti secondo l'opinione dei medici curanti e quelle determinate dalla
scala di recupero dal coma. Di questi pazienti presi in considerazione, 44
sono stati diagnosticati dai medici curanti in coma vegetativo, mentre la
scala di recupero del coma indicava che 18 dei 44 fossero in uno stato di
minima coscienza. Questa è la stessa percentuale di errore - circa
40% - che il dott. Andrews aveva rilevato 13 anni prima a Londra. Sembra
anche che 4 di 40 pazienti diagnosticati in stato di minima coscienza, ne
erano poi usciti. Sebbene i loro medici non l'avessero notato, questi
pazienti erano a quel punto in grado di comunicare. La conclusione cauta
del Dr Laurey è che i neurologi non vogliono che la loro
abilità diagnostica venga rimpiazzata o superata da una scala di
recupero. Ritiene che lo stato di minima coscienza sia una diagnosi
relativamente nuova ed è possibile che qualche medico non sia ancora
a suo agio con il criterio, ma questa è una ragione in più
per utilizzare la scala di recupero. Il guaio di una diagnosi basata sulla
convinzione dei medici, piuttosto che su una misurazione, è che essa
è soggetta alle influenze esterne, ad esempio delle compagnie
assicurative che secondo Dr Laurey preferiscono una diagnosi di stato
vegetativo ad una diagnosi di stato di minima coscienza, perché
coloro che sono in stato vegetativo non richiedono costose riabilitazioni.
Tutto ciò è inquietante. E' vero che lo studio di
Liège è una singola ricerca, ma se fosse riproposta altrove
metterebbe in discussione sia il trattamento dei pazienti più
vulnerabili, che la serietà dei medici nei confronti degli strumenti
a loro forniti dalla scienza con fatica.
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